giovedì 29 settembre 2011

Pazzo.....come un cavallo

In un tempo lontano e confuso, un ragazzo stava camminando per strada, con lo sguardo volto in avanti, ma più orientato a guardare la terra che passava sotto i suoi piedi piuttosto che prodigarsi in sforzi visivi per rendere nitido l'orizzonte.
Quella camminata  claudicante e barcollante era una caratteristica del ragazzo stesso, un modo di procedere che era nato con lui, cresciuto con lui, consolidato nei suoi passi e nella sua mente, nei suoi occhi e nelle sue azioni, e gli faceva paura.

Non capiva perché il mondo che girava attorno procedesse ad andatura regolare e a lui toccava invece inciampare sui suoi passi e molto più spesso sui suoi pensieri. Invidiava gli sguardi sereni e spensierati dei suoi amici, i sorrisi che incorniciavano la naturalezza di visi che per lui erano miraggi, le azioni leggere e automatiche di ragazzi e ragazze che condividevano con lui solo il calendario che passava ma non di certo il peso di quei giorni che ogni giorno diventavano passato.

Quel suo passo acquistò il greve peso dello smarrimento, a tal punto da farlo salire su un cavallo, un cavallo indomabile e furente, incomprensibile e impossibile da sellare. Quel cavallo era la sua testa, era la somma dei suoi pensieri, delle sue angosce e della sua incapacità a conoscere qualcosa che nessuno gli aveva insegnato. Quel cavallo era parte di lui e lui non lo voleva.

Questa è la storia di tutti coloro che un giorno scoprono che è difficile governare i propri pensieri, la propria testa, una storia comune ma lontana dal diventare comune argomento di dialogo.  capita che la mente a volte parli a qualcuno senza che nessuno gli abbia dato il dizionario per conoscere una lingua ignota. Allora si scambia quel linguaggio e quelle parole per malattia, ciò che non si conosce diventa subito ammantato di nero e porta quasi sempre nel terreno dell'ansia e della paranoia, ma questo non è il problema.

Il vero problema è che non si è ancora sulla strada per accettare che il proprio modo di essere, che all'inizio ti fa star male, non è una malattia, ma una parte di te con la quale devi imparare a convivere e a volergli bene. Per far questo a volte occorre che ci si faccia dare una mano da chi ha la possibilità di insegnarti come fare. Se non si sa guidare un auto si va a Scuola Guida, se non si sa guidare la testa si impara a farlo e non si subisce passivamente una parte di noi come se fossimo solo un insieme di acqua e chimica. Ed imparare è molto stimolante, bello e utile nel corso del tempo-
Il viaggio è spesso lungo, ma ciò che potrebbe renderlo senza fine è l'opporsi a questo bellissimo dono, perché è un dono. Il ragazzo non è claudicante, sono gli altri che non sanno camminare come lui.
Se ci mettessero in mano della glicerina si avrebbe la facoltà di decidere se usarla assieme alla nitro e far saltare tutto in aria o adoperarla per medicinali che salvano la vita, il problema vero ce l'hanno coloro che non sanno nemmeno cosa sia la glicerina.
Io la vorrei tutta la vita, perché ti costringe a crescere, ad imparare a guardarti dentro, ti obbliga a guardare la paura e a imparare a non averne e questo ti da l'opportunità di essere migliore ogni giorno che passa. All'inizio è vero, è un cavallo indomabile, ma poi lo si accarezza, gli si sussurra e quel cavallo pazzo ti porta in praterie che nessuno potra mai vedere con le sue gambe.
La suggestione è un effetto collaterale, da governare con il tempo, ma non è il fuoco della questione. A quel fuoco ci si arriva e lo si può fare soltanto con la propria volontà, ma ci si arriva. Ho visto e conosciuto persone che quel cavallo l'hanno incontrato in giovane età, convinte all'inizio di stare in un girotondo, poi con la propria forza si riesce a capire che sei tu a girare in tondo e non ti obbliga nessuno a farlo, né la saratonina del tuo cervello né le tue paure.


Allora appare chiaro che la serenità degli altri è quello che tu percepisci. L'assenza di pensieri talvolta è proprio assenza punto e basta. Ci si chiederà allora se sia meglio pensare ed essere tormentati piuttosto che non pensare a nulla, ma è la vecchia teoria dello "scemo del villaggio"... si è davvero sicuri che si perdono cose belle pensando troppo e non se le perdono invece coloro che non sanno andare negli abissi? Solo chi sa cos'è l'abisso può provare la gioia immensa dell'apice. Per toccare la felicità devi essere in grado di avere occhi che gli altri non hanno.
Si diventa cosi fratelli maggiore di se stessi, la paura di "studiarsi" si dissolve e diventa chiaro che l'unico modo per crescere nella vita (non solo di età) è parlare con noi e raccontarci che Godot lo facciamo aspettare a qualcun'altro, noi ce lo andiamo a prendere, perché se la felicità è del regno dei cieli la tranquillità è una conquista terrena e non un evento metereologico. Imparare a volersi bene diventa stupefacente, è una droga pulita che ti rimette al mondo. Per far tutto questo non esistono manuali con formule magiche o tonache talari che facilitano il contatto con l'Essenza, serve solo avere voglia di mettersi buone scarpe, continuare nel proprio passo claudicante e barcollante e con tenacia e naturalezza distogliere lo sguardo dai propri piedi ed alzarlo verso l'orizzonte, perché proprio a quello serve l'orizzonte, a camminarci incontro.

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