venerdì 16 settembre 2011

...quasi come per ricordarsi di ricordare.

Spesso fatichiamo a staccarci da oggetti che hanno in qualche modo accompagnato una parte della nostra vita; semplici indumenti o più complessi strumenti che non si sa per quale motivo, supponiamo e speriamo di riutilizzare un giorno o l'altro. E' forse una maniera inconscia di non 'dimenticare' il nostro passato, un modo pratico di 'fare una fotografia' a ciò che un tempo ci ha accompagnato in giornate lasciate alle nostre spalle.

E cosi i nostri garage, le nostre taverne, i nostri soffitti, diventano una sorta di museo di noi stessi, senza che ci prenda mai la voglia di dare spazio a ciò che occorrerebbe veramente.
E' la stessa cosa che succede agli armadi, stipati di vestiti che non metteremo mai più, o ai nostri congelatori, comprati più grandi per contenere un maggior numero di alimenti pronti all'uso e sempre più spesso veri o propri archivi di pasti che mai consumeremo.

No, questa non è la solita critica al consumismo, ma avrebbe la pretesa di essere invece uno spunto per capire le scelte che facciamo nel momento in cui mettiamo zavorra ai nostri ricordi (e quello che maldestramente lasciamo per sempre destinato all'oblio dei non ricordi).

A volte può capitare di fare un salto nel tempo e cominciare a girare tra le pagine dei primi diari che abbiamo conservato, o annusare l'odore dei primi libri che ci è capitato di sfogliare, a volte può accadere che sia una radio a versarci questo distillato di nostalgia passando una canzone che ci riporti la mente a quel che eravamo.
E come per magia mi appare la scritta che una mia amica di un tempo aveva impresso in una parete della propria casa, prendendo a prestito la magnifica penna di Gabriel Garcia Marquez:

"La vita non è quella che si è vissuta, 
ma quella che si ricorda
e come la si ricorda per raccontarla."

Ed è proprio così. Nel ricordare gli avvenimenti che abbiamo vissuto e che oggi ci hanno portato a essere quello che siamo, noi ristrutturiamo le nostre esperienze, le rendiamo più o meno significative, le distorciamo e le esasperiamo, le esaltiamo e le annacquiamo. Perciò può capitare di attaccarsi a fotografie o ad oggetti, quasi come per avere una promemoria su quel che è stato, quasi come per ricordarsi di ricordare.

La soluzione sta come sempre nell'equilibrio, nell'innata o acquisita capacità di saper scegliere cosa mettere nello zaino e cosa metter via (per dirla alla Ligabue).
Oggi, nel terzo del cammin di questa vita (un augurio che faccio a me stesso toccando ferro e tant'altro), sempre più frequentemente cerco di dedicar maggior tempo a gustare il sapore di ciò che mi capita e di quel che faccio accadere, questo rende il mio palato più sensibile, più capace di riconoscere gusti che in passato perdevo.

Magari un giorno, camminando nel personale museo dei ricordi mi renderò conto che intorno a me ci sono solo teche vuote, niente oggetti né quadri, solo il familiare odore del tempo che passa. Intorno il niente e dentro il mondo, tutto ciò che serve per rendere l'attimo sempre meno fuggente e sempre più presente.

Nessun commento:

Posta un commento