lunedì 31 ottobre 2011

undici e poi dodici e poi tredici

A volte capita che davanti ad un foglio bianco si abbia la voglia di far prevalere l'immacolatezza di quel candore piuttosto che la volontà della penna. A volte capita che di fronte ad una schermata, anch'essa bianca, vinca la pigrizia di riempirla cercando parole di altri piuttosto che farle uscire da sé.

A volta capita di trovarsi davanti ad un foglio che una volta era sicuramente bianco, ma che prima di arrivare nelle tue mani qualcuno a contribuito a renderlo diverso, ad arricchirlo con pensieri e frasi che hanno la capacità di bussare alla tua testa e di chiedere il permesso di entrare, con intelligenza e sorpresa, e con un modo di presentarsi che invita non solo a farle entrare in testa, ma anche nel cuore.

Non parlo in astratto, ma concretamente mi riferisco al foglio che i ragazzi del Progettoundici hanno distribuito nelle edicole di Fermignano in questi giorni.
Non un giornale, ma un vero e proprio foglio formato A3 che lascia poco spazio alla grafica e alla creatività artistica perché la vera creatività sta in ciò che c'è scritto.
Si parla di Fermignano, si parla di noi che viviamo a Fermignano, si parla di come vorremmo e potremmo vivere Fermignano, e si parla del paesaggio interiore che ognuno di noi porta con sé, citando Eugenio Montale.

Nel Progettoundici ho visto il coraggio di esprimere opinioni e mettere sul tavolo punti di vista senza il timore di doversi scrollare di dosso etichette o di doversi riparare da attacchi provenienti da ogni angolatura, che sia destra o sinistra.
Parlare di política non parlando il politichese è possibile, come è possibile avere idee e visuali che non dipendono da comitati di sezione né tantomeno da direzioni sovracomunali.

Si parla lasciando tracimare l'amore per il proprio paese che è anche e soprattutto l'amore per il proprio Paese, si parla del fatto che non esiste la possibilità di spezzare con un taglio netto il confine tra bello e brutto, lo fa prendendo ad esempio l'opera con la quale la precedente (e attuale) amministrazione ha contraddistinto la propria copertina di propaganda elettorale. Si parla quindi della Scalinata, o del Teatro all'aperto, o di quell'ibrido che ne viene fuori dal punto di vista lessicale se si lascia spazio all'opinione di ognuno degli oltre ottomila abitanti di questa cittadina.

Si parla chiaro, si dice che una scalinata è tale se è possibile salire o scendere da ogni centimetro di essa, e si va oltre la mera definizione architettonica. Si dice che un Teatro all'aperto è tale quando il pubblico si siede sui gradoni (una volta gradini) e osserva lo spettacolo dall'alto al basso e non il contrario (e per pignoleria si tratterebbe comunque di anfiteatro e non teatro). Si parla del fatto che non ha senso mettere sulla stessa bilancia ciò che c'era prima e ciò che c'è adesso.

Ma parlando della scalinata si scalano piani che in questo mondo spesso non sono molto popolosi né popolari, si parla della capacità di ognuno di noi di pensare ad altre categorie da affiancare (e certo non sostituire) al concetto bianco/nero di bello e brutto, e lo si fa non parlando a noi stessi ma usando quel Noi per provare a riattivare una coscienza civica che esce dalle proprie case e si riversa in quelle strade dove Gaber affermava che solo lì si può trovare l'unica salvezza.
Scendere in strada? No, salire in strada per osservare, capire, parlare, confrontarsi e condividere, senza steccati ideologici né barriere mentali, lo si può fare partendo da un foglio bianco, da un monitor anch'esso bianco, ma soprattutto da un animo bianco, colore della genuinità di chi non ha secondi fini e con unico obiettivo la possibilità di sentirsi meno soli, in un mondo migliore. Non siamo solo numeri.

Nessun commento:

Posta un commento