sabato 15 ottobre 2011

Il Mondo di Indegni e Indignati


Oggi, in un mondo globalizzato diventa globale anche la protesta degli INDIGNATI.
Anche l'Italia ha i suoi Indignati, i suoi giovani ventenni e trentenni che "combattono" per le strade e per le piazze per far sapere all'opinione pubblica ed ai palazzi del Potere che non ci stanno più a sopportare politiche economiche e fiscali che mai e poi mai mettono in primo piano le esigenze di coloro che sono oggi le fondamenta della società sulla quale poggerà un domani più o meno decente.

Io non ho nulla contro il movimento nato in Spagna ed espatriato nel resto d'Europa. Si tratta di un movimento che sta assumendo dimensioni globali e che intende dar voce (come dicono i manifestanti), a quel 99% della popolazione che sta pagando una crisi che non ha provocato.

Ora però non posso nascondermi dietro un due aste; infatti non nego la mia lontana ammirazione per un vecchio della politica come Pietro Ingrao, e questo mi fa propendere per uno slogan che assomiglia molto di più ad un punto di partenza che ad un punto fermo: INDIGNARSI NON BASTA.
Ingrao sostiene quanto segue: «vedo prevalere una critica morale alla degenerazione dei partiti, alla corruzione e all’affarismo del ceto politico. Ne condivido le ragioni e l’asprezza. Ma l’indignazione non dà conto delle modificazioni sostanziali. La mera denuncia, in qualche modo, le occulta».
In pratica afferma che indignarsi è un tutt'uno con l'IMPEGNARSI, altrimenti si finisce per essere uomini con il megafono ma privi di cappa e spada, e il megafono dopo un po' rischia di diventare un fastidioso rumore di fondo che non si differenzia più dal rumore dei nemici. Il "vecio" ha una paura folle che il sentimento dell'indignazione si accoppi con quello ecumenico della speranza, con il serio rischio che l'uno renda inefficace l'altro se li si lascia in solitario, avulsi da una pratica politica e sociale che dia loro sostanza. L'indignazione non potrà mai fare le veci della politica semplicemente perché non sono sostantivi paritetici.

Certo, indignarsi è una conditio sine qua non per affermare che una generazione ha preso coscienza di sé e dei propri diritti, ma per l'appunto rimane una presa di coscienza e non certo di potere. Portare in Piazza draghi stanchi e cartelli fiammanti, tirare uova contro BankItalia e fare pernacchie al governo ed alla classe politica in generale è il cartellino giallo, l'ammonizione che gli arbitri del proprio destino mostrano agli arbitri del mondo, ma tirato fuori il cartellino poi occorre continuare a "giocare" una partita che ci costringe e ci costringerà ad uscire dai recinti delle battute su Facebook contro un ministro e dalle vecchie ma mai troppo nuove ubriacature di piazza. Occorre ricordare e giocare in prima persona, occorre smettere di chiedere ai politici il rinnovamento e farlo per conto proprio, senza prestare il capo ed il voto a polli di allevamento che di ruspante e innovativo non hanno nemmeno il becco.

Urlare che "Noi il debito non lo paghiamo" è giusto in linea di principio, ma guardando in faccia la realtà si scoprirebbe che un terzo di quel debito non è nelle tasche di ricchi banchieri, ma di cittadini e pensionati che hanno sottoscritto Bot e Cct pensando di essere amministrati da gente responsabile. Quel Noi assume cosi un valore grandissimo, e la frase dovrebbe poi concludersi con la richiesta di non pagare il debito come dovrebbero invece pagarlo evasori e corruttori, ladri e saltimbanchi politici privi di responsabilità legali per scelte amministrative sciagurate.
Si ai movimenti referendari, al "Se non ora quando", alle Libertà e Giustizia, ma manca la pagina del "come" (per rubare una battuta a Crozza), e quella pagina la si trova solo in gruppi, movimenti (o fatevene una ragione), nei partiti..... E se nessuno oggi ci rappresenta facciamocene una ragione, ma facciamone anche un partito....




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