giovedì 20 ottobre 2011

fuoco e fiamme e auto in panne


Un poveraccio dentro una buca, una talpa chiusa sotto terra con l'arma in pugno e con salda in mano la tenacia di "tirare a campare" finché gli è stato possibile. Questa è la fine di Gheddafi, come simile è stata la fine di molti prepotenti diventati impotenti una volta messi di fronte all'inevitabile finale di una vita condotta sempre usando la violenza. La violenza è come un fuoco d'artificio, la manovri, la maneggi, ti rassicuri e diverti in maniera sadica nel vederne le conseguenze, ma come capita a tanti, prima o poi a giocare col fuoco si finisce sul rogo.

Gheddafi come Bin Laden, come prima di lui Saddam, Stalin, Lenin, Hitler,  e come finiscono spesso tanti mafiosi che scambiamo come padroni del Mondo e che invece ce li ritroviamo a vivere in catapecchie miserevoli che sono ben peggio delle prigioni indecenti di cui è dotato questo Paese incivile (almeno dal punto di vista carcerario).

"Sic Transit gloria mundi", così passa la gloria di questo mondo (in senso lato: "come sono passeggere le cose del mondo"). La frase viene pronunciata durante la cerimonia di elezione di un nuovo Pontefice. C'è un Cardinale che enunciando questa frase di fronte al nuovo papa, contemporaneamente spegne una fiamma posta su di un'asta. Ciò che brucia un secondo dopo non brucia più, la fiamma scompare, per ricordare all'uomo più vicino a Dio che anche la Gloria di questo Mondo terreno è destinata a spegnersi in un batter d'occhio. Il Papa quindi si genuflette ed è portato alla riflessione.
Se si esce dall'ecclesiale la si può leggere in maniera molto più terrena, basta immaginarsi la magnificenza e l'eleganze di una lussuosa auto degli anni 50, tirata a lucido e con tanto di autista con cappello, in lento movimento tra strade ancora lontane dal diventare trafficate. Per quelle poche superstiti di quei gloriosi anni, l'oggi riserva un presenta da museo (se gli è andata bene), ma ancor più probabile da ferrovecchio lasciato ad arrugginire all'imbrunire della sera su di un campo, senza neanche più traccia dell'autista!

"Sic Transit gloria mundi", con queste parole Berlusconi ha commentato la fine del suo amico Libico. La gloria che si riversa nel suo contrario, le stelle che diventano buie e chiuse nel fetore di una stalla, con questo stesso epitaffio sono ornate le tombe di molti illustri potenti, come a ricordare la caducità della condizione umana, ma allo stesso tempo a sottolineare che finché la fiamma è stata accesa ha arso di un fuoco imperioso e potente, ben al di la della piccola fiammella che accompagna l'uomo qualunque.

Io non godo nel vedere la morte di un criminale di guerra, ma ovviamente mi compiaccio del fatto che i suoi crimini, almeno grazie alla morte, non siano più reiterabili per suo pugno.
Non faccio neanche il gioco meschino di associare il tragico finale del Rais all'agognato finale di Sua Emittenza (senza guerra civile e per mezzo della potente arma della democrazia chiamata "penna"), l'associazione nasce solo sulla spinta di quella frase, che Berlusconi pronuncia ai media ma fa risuonare dentro la sua cassa cranica in maniera evidente: un modo di ricordare a se stesso la transitorietà del potere temporale e quanto, in ogni caso, la vita sia "a termine".

In quella frase c'è sempre la bellezza e il paradosso che accompagna ogni pensiero, anche il più ispirato alla nobiltà. In quella frase c'è la voglia di ricordare ai Potenti e al popolo di vivere una vita degna e di non aspirare alla felicità attraverso il mero esercizio del potere, essendo tutto costruito su fondamenta fragili, quelle del tempo che passa. 
Ma in quella frase si annida anche il possibile desiderio di bruciare tutto ciò che diventa combustibile, per scaldarsi e illuminare questo inevitabile passaggio terreno nella maniera più calda e lucente possibile, fregandosene di morale, di regole, di Diritto Naturale e di Giustizia. Il Potente che si droga del suo stesso potere, che si scalda le mani sul fuoco che egli stesso ha accesso, quelle mani che avvicinate al falò si immergono nel chiarore rosso e rendono meno possente il colore rosso del sangue che le solca.

Il finale del fuoco che arde è sempre quello della brace che cova sotto la cenere, non esiste un fuoco perenne (se non nelle viscere dell'Inferno per i credenti), ma chi rimane a guardare la cenere non è detto che si ritrovi a contemplare un mondo migliore, perchè basta muovere un poco la terra affinché ci si renda conto che è molto più facile riaccendere un fuoco da sotto la cenere che accenderlo dal niente.

Oggi non c'è più Gheddafi ma rimane il mondo che l'ha creato, domani non ci saranno più nemmeno uno di quei politici italiani che hanno condotto il Paese negl ultimi vent'anni, ma rimarrà l'Italia. No, l'unica certezza è la certezza del finale, ma mai delle sue conseguenze.




Nessun commento:

Posta un commento