martedì 18 ottobre 2011

dentro o fuori, sperando in giorni migliori


Sono anni che sento ripetere alla Sinistra italiana la solita litania all'indomani di una sconfitta politica (e di occasioni negli ultimi vent'anni ce ne sono state tante),  ossia la 'colpa' è sempre da cercare da qualche altra parte ma mai dentro casa propria.
Faccio riferimento ad un piccolo ma significativo episodio politico recente, la conferma di Iorio a governatore della microregione del Molise. Bé, a poche ore dal capitombolo nelle urne, l'ex segretario democratico Franceschini si è lanciato nella mischia con una piroetta patetica, affermando che "per un pugno di voti in Molise vince il candidato di destra, inquisito, grazie ai voti di Grillo, tolti al centrosinistra". Stesso ritornello già sentito in occasione della sconfitta della Bresso in Piemonte.
La colpa è di chi toglie voti alla sinistra senza rendersi conto che chi toglie voti alla sinistra è proprio la classe dirigente DELLA SINISTRA stessa.

Il vicedirettore de "La Repubblica" coglie il segno e scrive che "C'è un dato politico generale, che si coglie anche dalla "sindrome molisana", con il quale la sinistra riformista deve fare i conti: la sua offerta politica non è sufficiente né a convincere gli arrabbiati di sinistra a votare Pd, né i delusi di destra a spostarsi da un polo all'altro. Il governo Berlusconi è una calamità devastante. Ma l'armata anti-berlusconiana non pare un'alternativa convincente."

Moretti nel 2002 affermò che con questi dirigenti la sinistra non avrebbe mai vinto. Quella profezia era vera solo in parte, perché di quella frase era sbagliato il complemento oggetto. Non erano e non sono 'questi dirigenti' che non faranno mai vincere gli eredi del PCI, ma la mentalità che sta dietro i capibastione e che è ben presente e viva in ogni angolo dei Partiti politici. Non è un problema di dirigenza, di vecchia guardia che non da spazio alle nuove leve, è un problema di reale ed effettiva incapacità a capire che con i 'bravi ragazzi' non si cavalcano le rivoluzioni sociali alle quali stiamo assistendo, ma le si subiscono, le si osservano dalla tribuna nella speranza che prima o poi il cavallo pazzo del capitalismo malato si stanchi e cominci a trotterellare verso le transenne.
Le persone che ho conosciuto in politica sono quasi tutte 'brave persone' ma io ero entrato dentro un partito non per incontrare persone oneste (l'onestà va data per scontata come ha detto Floris giorni fa), ma per incontrare l'origine di un cambiamento, l'innovazione che andasse oltre il nepotismo e il bon ton, l'assecondare il dirigente di turno e il non fare mai affrermazioni che potessero in qualche maniera disturbare i "capi".

Non si spara sull'azienda, ma non si può neanche sperare di cambiare il devastante distacco tra politica e società facendo semplicemente i 'bravi ragazzi'. Si finisce così a lasciare la politica solo agli indignati e si entra nel circo della politica organizzativa, Feste, Eventi, Convegni, Cene, Aperitivi, Pulmini, come se per stare tra la gente si debba dare enfasi al modo di starci.

Allora perché mai sono entrato in un partito? Perchè mi affascinava l'idea del partito nuovo, non nel nome ma nelle intenzioni. Perché ho sempre pensato che tra star fuori o dentro si abbiano più possibilità ad essere incisivi dentro. Perché ho sempre creduto e credo che organizzarsi sia comunque necessario alla proposizione per superare la contrapposizione.

E poi le cose non vanno sempre come si spera che vadano, e succede che un bel giorno, un giorno qualsiasi, un'amica ti faccia una domanda com questa:

ma io mi chiedo: come fare posto a chi vuole un nuovo modo di fare politica, se sistematicamente gli vengono "tagliate le gambe" e viene bollato come eversivo, e si lascia la strada libera ai soliti "figli di papà"? Se si considera il sistema ormai marcio, come cambiarlo da dentro? (c'è chi decide di starne "fuori" proprio per una mancanza di fiducia, come ritrovarla?)

Se avessi la risposta alla sua domanda (che da sempre è anche la Mia domanda), allora avrei davvero trovato la strada, poi la lunghezza e la tortuosità non mi farebbero certo paura.
Ma io non so rispoderle né rispondermi, so solo che stare dentro in maniera "funzionale" è solo un modo per perpetuare l'immobilismo, con qualche gentile concessione all'abbassamento dell'età media (quando decidono che deve capitare).
Io non passerò più nemmeno un minuto della mia vita "politica" ad assecondare meccanismi gattopardeschi, a tagliarmi la lingua, ad accettare il declino permanente.
Non so se starò più "dentro", ma se dovesse accadere non mi fermerò mai più in posizioni di galleggiamento, dirò quello che sentirò di dover dire, con le giuste maniere ma dritto fino alla meta. Se poi questo non dovesse essere sufficiente io un giorno mi siederò sulla banchina, in riva al fiume, con i piedi nudi penzolanti e i pensieri fermi, convinto di aver fatto tutto quello che mi era possibile fare per vedere quell'acqua scorrere controcorrente.... e poi berrò....

"sara' anche che il gioco si cambia da dentro
ma alla fine e' giocare che ti cambia dentro
sara' anche che spesso lontano dal centro
ognuno si scopre un nuovo talento

magari fuggire non e' la soluzione
magari fuggire e' una resurrezione
e' come sfidare il niente
stare qui

io non so se ritornare
quale vuoto sia peggiore
se avro' forza per trattare
e se il mio destino e' stare
fuori o dentro"
(N.F. Fuori o dentro)

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