In un tempo lontano e confuso, un ragazzo stava camminando per strada, con lo sguardo volto in avanti, ma più orientato a guardare la terra che passava sotto i suoi piedi piuttosto che prodigarsi in sforzi visivi per rendere nitido l'orizzonte.
Quella camminata claudicante e barcollante era una caratteristica del ragazzo stesso, un modo di procedere che era nato con lui, cresciuto con lui, consolidato nei suoi passi e nella sua mente, nei suoi occhi e nelle sue azioni, e gli faceva paura.
Non capiva perché il mondo che girava attorno procedesse ad andatura regolare e a lui toccava invece inciampare sui suoi passi e molto più spesso sui suoi pensieri. Invidiava gli sguardi sereni e spensierati dei suoi amici, i sorrisi che incorniciavano la naturalezza di visi che per lui erano miraggi, le azioni leggere e automatiche di ragazzi e ragazze che condividevano con lui solo il calendario che passava ma non di certo il peso di quei giorni che ogni giorno diventavano passato.
Quel suo passo acquistò il greve peso dello smarrimento, a tal punto da farlo salire su un cavallo, un cavallo indomabile e furente, incomprensibile e impossibile da sellare. Quel cavallo era la sua testa, era la somma dei suoi pensieri, delle sue angosce e della sua incapacità a conoscere qualcosa che nessuno gli aveva insegnato. Quel cavallo era parte di lui e lui non lo voleva.
Questa è la storia di tutti coloro che un giorno scoprono che è difficile governare i propri pensieri, la propria testa, una storia comune ma lontana dal diventare comune argomento di dialogo. capita che la mente a volte parli a qualcuno senza che nessuno gli abbia dato il dizionario per conoscere una lingua ignota. Allora si scambia quel linguaggio e quelle parole per malattia, ciò che non si conosce diventa subito ammantato di nero e porta quasi sempre nel terreno dell'ansia e della paranoia, ma questo non è il problema.
Allora appare chiaro che la serenità degli altri è quello che tu percepisci. L'assenza di pensieri talvolta è proprio assenza punto e basta. Ci si chiederà allora se sia meglio pensare ed essere tormentati piuttosto che non pensare a nulla, ma è la vecchia teoria dello "scemo del villaggio"... si è davvero sicuri che si perdono cose belle pensando troppo e non se le perdono invece coloro che non sanno andare negli abissi? Solo chi sa cos'è l'abisso può provare la gioia immensa dell'apice. Per toccare la felicità devi essere in grado di avere occhi che gli altri non hanno.