giovedì 1 dicembre 2011

Le cose che contano

post molto intimista e di difficile interpretazione, ma mi è venuto così, come vengono le cose che nascono da sole. Ho cominciato a scrivere senza sapere dove sarei arrivato


Ci sono momenti nella vita in cui capita di fermarsi e metaforicamente di appoggiarsi le mani alle ginocchia, come dopo una lunga corsa, ci si piega sulla schiena e si cerca di aprire la bocca sforzando le labbra oltre la bella decenza di un sorriso, alla ricerca di ossigeno e riposo. Lo sforzo arriva con impeto, nonostante ciò che l'abbia provocato sia stata invece una progressione lenta, lenta ma inesorabile, talmente decisa che nello scorrere del tempo non c'era spazio per la fatica e per rifiatare.

Poi come tutte le cose, sia quelle faticose che quelle prive di pegni con la naturale limitatezza del fisico umano, si arriva al momento in cui le mani cercano il sostegno delle ginocchia, perché il momento della riflessione sul "come sono andate le cose" arriva quasi sempre, e quel quasi sta li a certificare che tra il "sempre" e l'uomo c'è la mai nascosta possibilità di diventare esseri viventi privi di coscienza.

Oggi sono io a fermare la mia vita e a guardare indietro un percorso che mi ha visto passare gli ultimi cinque anni alla ricerca convinta di un modo generoso e doveroso con il quale e per il quale impegnare il mio tempo libero. Una storia non la si dovrebbe mai giudicare solo dal finale, perché il finale spesso è teatrale o melodrammatico, imperfetto o inconcludente, ma rimane solo un pezzo della storia, anche se dovesse essere un bel finale. L'ultima riga delle favole, come delle storie in generale, non rende migliore o peggiore la qualità della storia stessa, ma indubbiamente ne condiziona le emozioni e le sensazioni in vista della prossima storia che si comincerà a vivere, perché i libri finiscono ma le storie della vita continuano e cominciano di continuo.

Il finale dell'impegno di questi ultimi cinque anni è amaro, come sono stati per lo più amari tutti i cinque anni, e non ho mai amato molto i portabandiera del "rifarei tutto quello che ho fatto", no, se potessi cambiarei tante cose, non solo per la convinzione che la perfezione esista solo nel Regno dei Cieli, ma per la certezza che quello che conta durante un viaggio non è tanto quel che si trova alla fine, ma come si affronta il viaggio stesso e come si impara a volersi bene e voler bene a chi te ne vuole durante il percorso.
Quando si fa un bilancio di un'esperienza della propria vita spesso si mette sul piatto di quella bilancia ipotetica il peso greve dei "se", ma il selciato del fallimento è pieno di "se", quello di un uomo è catramato di "nonostante", si diventa uomini capaci di  volersi bene "nonostante" quel che ci accade, nonostante i nostri errori e nonostante le persone che ci riversano addosso i loro errori.

In quel bilancio ciò che dovrebbe pesare sono le cose che contano, quel che si è capito e quel che si è subito, ciò che si è fatto e non quello che si sarebbe potuto fare, mettendo in bella evidenza che ogni vicenda ci da la possibilità di essere più esperti e preparati per la prossima tappa.

Ho incontrato belle persone e persone meno interessanti, ed ho incontrato persone normali, qualcuna speciale, ma l'incontro del quale avrei fatto volentieri a meno è stato quello con coloro che spesso dimenticavano che esistono altre cose oltre la propria intelligenza, esiste la giusta forma attraverso la quale si esprimono i propri pensieri, ed esiste la certezza che per non essere ipocriti non è affatto necessario sputare la verità con arroganza, perché esiste sempre e solo una soggettiva interpretazione della verità ed esistono gli altri, le altre persone, che non sempre e non per forza devono pensarla allo stesso modo, ma non per questo si deve riempire la propria bacheca mentale di nemici.

Ho imparato a non costruirmi nemici, ho imparato a non competere con chi avanza a spallate verso la sorda convinzione della propria perfezione, ho imparato a farmene una ragione, ho imparato a non dar troppo peso a un singolo capitolo della vita, cercando di vederla dall'alto, nella sua interezza. Ho imparato a non dar niente per scontato, ho imparato che la riconoscenza esiste solo tra le mura di casa e tra i nobili di cuore, ho imparato che stare da soli è più difficile che stare insieme ma ho imparato che la somma di tante solitudini non crea automaticamente un gruppo, ma un insieme.

Non ho ancora imparato a gestire i sentimenti che sgorgano potenti dopo una lunga e costante progressione, come se nell'appoggiarmi sulle ginocchia e spalancando la bocca dentro di me non entrasse solo ossigeno e riposo, ma anche delusione e saggezza. La delusione e la saggezza, quanto vorrei avere la capacità di maneggiarle con maestria, ma altri capitoli dovranno passare perché questo possa avvenire con facilità.

All'inizio ero curioso e infuocato, vedevo che tutti auspicavano l'immaginazione al potere, poi al potere spesso ho visto donne e uomini senza immaginazione che si portavano dietro solo l'immagine. Li ho racchiusi in due cerchi, quello della sedia e quello del microfono. 
Nel primo cerchio ho visto sedersi carrieristi con pochi scrupoli ma con la presunzione di non esserlo. Spesso si circondavano di mediocri, privilegiando la fedeltà al talento, l'appartenenza all'indipendenza, negando di essere diventati la fotocopia imbruttita dei mostri che volevano abbattere.
Quelli del microfono invece sono coloro che stanno nel cerchio di chi è divorato dal desiderio di piacere e dal tarlo dell'apparire, inconsapevoli che senza quel microfono la loro voce diventa muta persino alla loro anima.

Poi ci sono quelli che vedono cerchi, come me, che conoscono e riconoscono ancora l'importanza dell'impegnarsi oltre se stessi ma che troppe volte hanno visto bruciare il tempo nel falò dell'impegnarsi "per" se stessi.
Ora ho voglia di rialzare la schiena e sciogliermi i muscoli indolenziti, togliere la zavorra dall'anima e ricominciare un nuovo capitolo. Non sarà facile partire, le scorie pesano, ma in un nuovo viaggio non conta ciò che si troverà alla fine di esso, conta aver la forza di partire.